mercoledì 30 settembre 2015

Intervista a Gabriele Porrometo

 Pubblico oggi l'intervista a Gabriele Porrometo, autore emergente che ho avuto il piacere di conoscere e di recensire con Metalibro. Gabriele è stato davvero molto gentile, infatti ha risposto dettagliatamente alla mie domande e di questo gli sono grata, adoro quando mi si risponde lungamente a delle domande che pongo. Ad ogni modo vi lascio all'intervista.

Andiamo a conoscerlo un po' meglio!
- Domanda d'inizio, per sciogliere un po' il ghiaccio. Raccontaci qualcosa in più di te, quello che più ti aggrada.

Sono uno studente universitario di 22 anni, appassionato d'arte e scrittura. Amo leggere, pensare, dipingere e camminare. Sono sempre curioso di scoprire cose nuove e volti nuovi; per questo sento sempre il bisogno impellente di passeggiare, osservare la vita quotidiana e il flusso urbano ininterrotto di persone e macchine che sfrecciano sotto ai miei occhi. L'ispirazione sopraggiunge mentre passeggio, la trovo sempre dietro l'angolo perché c'è sempre qualcosa di unico e nuovo da assaporare; la particolarità del momento.  Non sono facilmente notato, e questo per me è un punto di forza: l'anonimato permette di fare cose che persone note non possono permettersi di fare. 

- Sei comunque molto giovane ed hai scritto un libro parecchio particolare, da quant'è che stavi pensando ad un racconto del genere e come sei arrivato alla sua ideazione?

L'idea mi è balenata in testa quando avevo 17-18 anni, ma sentivo che non era ancora il momento per scriverlo; ero troppo acerbo. Ho sviluppato il mio stile con il tempo, scrivendo poesie e sviluppando altri progetti. Quando avevo circa 19-20 anni, sentivo che era il momento giusto e mi sono gettato nella stesura del "Metalibro". La struttura della trama non era ben delineata, ho continuato riga dopo riga quasi come se fosse qualcosa di istintivo, di spontaneo. Scrivere è naturale per me, come bere o mangiare; non potrei andare a dormire senza aver riempito con qualche riga un foglio bianco. Scrivere è vita; è un'estensione del tuo io, una specie di spirito che viene impresso su carta o su una pagina digitale. Sono andato avanti a scrivere per un annetto, concludendo, infine, la prima versione del mio libro.  Ma ho dovuto rivederlo e perfezionarlo per quasi altri due anni, mentre scrivevo parallelamente altra roba. Quindi posso dire che è stato un processo abbastanza lungo, ma che mi ha dato le basi per un organizzazione inerente alla redazione di un testo, modellandolo, modificandolo, correggendolo e migliorandolo revisione dopo revisione. E posso affermare che il "Metalibro" necessita ancora di perfezionamenti: con le prossime edizioni cercherò di apportare miglioramenti che lo possano pulire, rivelandone sempre più la sua natura "diamantina".

- "Sembrava che ci fosse  una storia precisa per quella cittadina, ma proprio sul più bello doveva accadere qualcosa di sorprendente, tutto scomparve, svanendo nel nulla. Non riuscivo a capacitarmi di ciò che era successo. Non trovavo risposte (chiedetelo all'autore o cercatevela da voi)." Bene, ne ho la possibilità, posso chiedere a te? :)

Questa è una delle parti più particolari del "Metalibro". Il protagonista si trova in questa dimensione letteraria, dove le storie si formano e si creano sia in modo organico, sia per mezzo di un'ignota magia. Il luogo non è altro che il cuore pulsante della letteratura e della scrittura. Il fenomeno che hai citato può avere diversi tipi di interpretazione, come può averlo tutto l'intero "Metalibro", essendo un'opera che vuole valicare i confini della letteratura e della mera narrazione tradizionale. Posso darti un paio di chiavi interpretative. La prima può riferirsi probabilmente ad un progetto narrativo che viene sviluppato fino ad un certo punto con una storia definita e dei climax prestabiliti, ma che viene "oscurato" a causa di un possibile scarto, di una ragione poco chiara o semplicemente di una revisione radicale della storia. Un'altra, ben più complessa, potrebbe riferirsi ad un probabile archetipo letterario, un topos, un qualcosa che reitera spesso nella tradizione letteraria che viene oscurato, proprio perché il "Metalibro" stesso non accetta dogmi o convenzioni, o meglio trasforma questi codici arrugginiti in un nuovo linguaggio e per questo necessita dell'ignoto, del buio per poter trovare una nuova luce, una nuova visione della dimensione letteraria. Ma ne puoi trovare un numero illimitato, potrei andare avanti per ore. E' questo il bello di non avere la pretesa di scrivere "Divine Commedie", ma invece condividere la propria opera con altre menti e occhi; si scoprono sempre lati nuovi e impensabili.  


- Durante tutto il Romanzo dai un giudizio molto duro a determinati altri generi. Perché sei così brutale nel tuo giudizio e quali sono per te quei libri che ritieni non degni?

L'Autore fa parte del cast dei personaggi, quindi in parte sono io, in parte non lo sono, ed è difficile identificarmi veramente, poiché i confini non sono del tutto netti. Do un giudizio duro ai alle convenzioni dei generi, non ai generi stessi. Ciò che m'infastidisce è la matrice dogmatica che permea la maggior parte delle opere d'arte contemporanee. Molti dicono che siamo arrivati ad un punto dove, ormai, l'artista non riesce più a trovare originalità e una propria identità, quindi si rifugia in archetipi e schemi conservatori (o tradizionali), ma reputo che l'arte non sia ancora arrivata a quel fatidico punto e probabilmente non vi arriverà mai. Essa scorre instancabilmente nel nostro mondo e in noi. Le persone che affermano ciò che ho negato sono i veri boia del massacro dell'arte, fenomeno cui stiamo assistendo giorno dopo giorno; attraverso la loro straripante accidia e, soprattutto, la loro mancanza di vero "genio artistico" ammazzano ogni tentativo estremo di dare un nuovo volto al nascente millennio. Per questo rivolgo duri giudizi verso coloro che quotidianamente cercano di "stuprare" l'arte propinandoci meri prodotti di scarsa qualità (similmente alle grandi corporazioni che ci propinano cibo congelato scadente), e non creazioni umane di grande spirito ed energia. Prova a pensare alla parte in cui descrivo i due mondi "creativi" dove può nascere un libro; il primo è sede di una creazione naturale, magica e spontanea (ricorda l'immagine dei libri che volano liberi e fieri come aquile), il secondo è colmo di fumi nauseabondi e venefici, mentre grandi macchine minacciose e impersonali stampano instancabilmente tonnellate di libri e opere, imprigionati nelle loro regole e nelle loro leggi conservatrici e dogmatiche. Reputo quest'ultimi oggetti non degni di essere chiamati "libri",  poiché ne uccidono il vero spirito letterario. Non faccio nomi, ovviamente, ma in questa grande catasta vi inserisco buona parte della letteratura d'intrattenimento, poesiole emulatrici di un lontano Montale o di un realismo lascivo e scadente, opere teatrali di stampo "borghese", nel senso portatrici di valori borghesi consolidati. Attenzione, non mi reputo comunista, fascista o altro; sono neutrale in questo genere di cose (reputo ogni genere politico odierno troppo passato e corrotto per governare una società moderna e tecnologica come la nostra), ma mi pongo contro sempre in nome di un nuovo modo di percepire e valorizzare l'arte. Quindi, la "borghesizzazione" di buona parte del mercato artistico (e non solo) rappresenta uno dei cancri più grandi cui il vero artista deve affrontare. In esso, vi inserisco il tipico uso di droghe per emulare la vita da "bohèmien" o lo spleen baudelairiano, il sesso e la nudità come provocazione (cosa reiterata attraverso libri, performance, quadri, sculture ...), se non vi aggiungono qualcosa di nuovo e profondo. Per concludere, considero questi elementi acerrimi nemici del vero scrittore, del genuino poeta e dell'artista creativo, poiché ostacolano, coprono, seppelliscono senza pietà con il loro vuoto e le loro bugie la forza e il genio dei pochi figli superstiti delle Muse. Un libro non deve essere una perdita di tempo, deve lasciare qualcosa nel tuo spirito, non fa differenza se dolce o amaro, altrimenti è soltanto carta utile per accendere un fuoco per riscaldare un povero senzatetto raffreddato.

- Il finale lo definirei epico, ma da un certo punto di vista anche piuttosto triste. Ti va di darci una spiegazione sul perché hai scelto questo tipo di finale e sul finale stesso?

Il "Metalibro" è un libro di paradossi, ossimori e opposti. Se l'inizio è apparentemente legato alla vita quotidiana, la conclusione consiste nell'opposto, cioè l'apocalisse biblica, epica, mitologica. Nell'epilogo di questo lungo viaggio, cerco di condensare più materia plasmatica e totale possibile. Tento di giungere ad un climax senza confini, senza orizzonti. C'è soltanto Apocalisse e Caos, e poi un silenzio rotto da una voce che rappresenta un intero universo estinto, dimenticato, volatilizzato. N. è quella voce, essendo rappresentante allo stesso tempo del Metalibro e del suo mondo, ma contemporaneamente archetipo dell'essere finito e limitato, con i suoi fallimenti, ma anche le sue speranze e la sua sete di salvezza. Quale modo migliore per concludere un'opera che si concentra sulla dimensione letteraria? Un libro quando finisce si oscura e si perde in un turbinio di voci, dopo in una sola e poi silenzio, aspettando nelle tenebre primordiali di essere riaperto per essere letto. Nel breve prologo si trova già l'aggancio alla conclusione; questa non è una storia con un lieto fine, ma con un movimento ciclico, poiché è la storia di un libro con tutti i suoi elementi e le sue dimensioni. Il punto di vista è triste, perché il personaggio sa che è destinato ad un fato da cui non può sottrarsi. Tuttavia, N. merita il massimo rispetto e la massima ammirazione, poiché affronta il suo destino con quella sua tipica disperata speranza; non rinuncia alla vita, anche se sarà costantemente un inferno e un oceano di dubbi. Per questo affermo che il finale è in parte amaro perché la vita di un personaggio fittizio rimarrà sempre in eterna balia di una prigionia da cui non può scappare, ma al contempo è denso di vita struggente; quasi come se fosse un intenso inno alla vita. Si dovrebbe, quindi, considerare e amare il finale con tutte le sue sfaccettature per gustarlo e comprenderlo appieno.

- Dopo metalibro hai altri progetti? Hai già libri nel cassetto pronti per essere pubblicati?

Ho diverse raccolte di poesie in italiano, francese ed inglese che sto arricchendo giorno dopo giorno. Ho concluso una trilogia di racconti e spero di pubblicarla entro poco. Finito di redigere un paio di testi teatrali che spero di vedere un giorno realizzati su un palco. Attualmente, sto scrivendo un'opera particolare e ibrida riguardo al nostro mondo e alla nostra contemporaneità. Ma la maggior parte del mio tempo la sto dedicando adesso nella stesura di articoli e "feature stories" per i corsi di giornalismo che sto svolgendo qui in America e per dei giornali locali. Ci sono tanti progetti e opere che ho per la testa, quando tornerò da questo intenso semestre, mi ci dedicherò senza ombra di dubbio.

- Fatti una domanda e datti una risposta, cosa vorresti che io ti chiedessi?

Il vero valore della tua opera in una parola sola?

Potrebbe sembrare assurdo (come appare assurdo tutto il "Metalibro), ma la parola che sceglierei è "Libertà". Ogni riga dell'opera riflette in segreto questo importante valore che deve essere preservato nella nostra civiltà. I soprusi, le ingiustizie (ovviamente con il fine di essere denunciate), le poesie, i momenti di solidarietà che s'incontrano nel Metalibro ne sono un esempio. Anche se ogni essere vivente deve sottostare alle crudeli regole del tempo, dello spazio e dei suoi altri pari, la vita è fatta per essere vissuta in libertà. In una delle poesie della seconda parte, che considero il manifesto del Metalibro e dei suoi valori, si può leggere: "Oh, sacra la libera bestemmia infernale". Qui non si intende la mera bestemmia, ma quell'atto con cui si opera la massima libertà cui un essere può aspirare. In questo caso, il "dio" del libro è  l'Autore, quindi N. afferma la sua totale libertà di andare contro un ente del tutto onnipotente, onnipresente e onnisciente, anche se sa nel suo intimo che è destinato alla sconfitta. Il suddetto termine in questione ha svariati significati, lo uso anche come forme di denuncia, critica dell'idiozia comune, ironia contro me stesso come "Autore". Con "bestemmia" non intendo il villano atto di menzionare il nome di Dio invano, essa ne rappresenta soltanto una minuscola parte. L'essenza della "bestemmia" è l'andare contro i dogmi, le convenzioni, il pensiero comune, gli enti e le istituzioni per una ragione ben più alta di ogni altra cosa: il diritto alla libertà di scelta, cioè il libero arbitrio - ciò che costituisce la parte più intima della nostra essenza.

Ringrazio ancora Gabriele per tutto, per il materiale che mi ha fornito per l'anteprima, la recensione e per questa interessante intervista. Gli auguro davvero di riuscire ad andare avanti al meglio nella sua carriera. 

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