Nello scorso capitolo c'eravamo lasciati parlando della voce calda e melodiosa del mio dolce boss. Voce che usa in maniera equilibrata, per spiegare cosa devi fare con calma e gentilezza...
Che barzelletta, no, su. Cerchiamo di essere seri.
Dicevo che in quanto a urlate non le risparmiava a nessuno, potevi essere un suo dipendente, il suo commercialista o addirittura un cliente che se gli girava male un "cazzo" o un "idiota" te lo pigliavi.
Quanto è stupido questo discorso? Tantissimo, ma io so che era così.
Già durante il colloquio era rimasto sorpreso che una laureata fosse andata a cercare lavoro da lui, sorpresa inutile dato la situazione lavorativa attuale, e per quell'inutile pezzo di carta mi aveva sempre trattata un po' con i guanti. Avevo fatto svariate cazzatine davanti a lui, eppure non avevo mai ricevuto un'urlata. Potevo a quanto pare protendere la mia laurea come scudo contro gli insulti, figo in realtà.
Era divertente in realtà vedere quanto gli costasse trattenersi dall'urlarmi che ero un'idiota ogni tanto.
Mi viene in mente un episodio...
Premessa il simpatico Sjelko ha due negozi, il secondario alla sera chiama il principale per dirgli l'incasso e l'ordine. Una sera mi trovavo nel secondo negozio, stavo chiudendo, quindi dovevo chiamare la ragazza in attesa dall'altra parte. Quando presi in mano il telefono però questo decise di non collaborare, si era rotto da un momento all'altro decretando la condanna alla gogna della povera commessa presente in quel momento, ossia io.
Quando notai la cosa, per mia sfortuna lui mi era accanto, ma non si era ancora accorto di nulla. Era già successo che il telefono desse problemi, così presi un altro telefono di riserva che c'era lì vicino. Lo accesi, ma a quel punto lo strumento traditore fece una piccola suoneria che arrivò alle orecchie di Sjelko. Già adirato non si sa bene per cosa urlò:
«Cosa succede?»
Lui urlava sempre, quindi non mi sconvolsi più di tanto dal tono urlato, è davvero incazzato con te solo se iniziano a volare insulti.
«Niente» dissi io con calma. «Il telefono non va.»
Strabuzzò gli occhi, ma si trattenne dall'urlare troppo. «Sempre a fare casini con telefono. Cosa vuol dire che non va?»
Ero stanca, volevo solo andare a casa e soprattutto non sono un tecnico, quindi ne sapevo tanto quanto lui. Lo guardai leggermente scocciata e con calma gli dissi: «Eh...» alzata di spalle, «Non va.»
Mi resi subito conto di quanto fossi stata probabilmente impertinente ai suoi occhi, ma decisi anche che me ne sarei sbattuta il belino. Pronta a ricevere insulti lo vidi invece solo gonfiarsi come un palloncino ed andarsene, onde evitare di dirmene un paio immagino.
Finito di chiudere il negozio lo trovai fuori sicuramente più calmo, mi chiese anche qualcosa con uno dei suoi toni più gentili, dopodiché ci salutammo e me ne andai.
Vi ricordate che vi ho parlato di quella mia collega tanto dolce la scorsa volta? Quella che le sentiva più di tutte noi messe insieme non si sa bene per quale motivo. Sì, Sara, proprio lei, bravi.
Inutile dire che il giorno successivo Sjelko gliene ha urlate non so quante perché il telefono non andava e vorrei dire:
1. Cosa può saperne lei dato che a lavorare c'ero io quando è successo il "disastro";
2. Perché diavolo non te la sei presa con me?
Insomma, l'avere una laurea mi ha salvato il culo più di una volta, almeno quell'inutile pezzo di carta è servito a qualcosa in quel posto orrendo.
Alla prossima!
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