sabato 12 dicembre 2015

Il Bambino che Imparò a Colorare al Buio - Nicholas Sparks e Billy Mills

Titolo: Il Bambino che Imparò a colorare al Buio
Titolo originale: Wokini: A Lakota Journey to Happiness and Self-Understanding
Autore: Nicholas Sparks & Billy Mills
Pagine: 168
Casa Editrice: Sperling & Kupfer
Anno uscita americana: 1990
Anno uscita italiana: 2008

Premettendo che questo romanzo l'ho letto per concludere una sfida letteraria, vorrei anche aggiungere che io amo Sparks. Sì lo so, spesso ripropone sempre le stesse cose nei suoi libri, ma se vi piace il genere romantico non potete perdervelo come autore. 
Oltre ciò, questo è però un romanzo che esce dalle sue solite storie e devo dire che non mi ha fatto né caldo né freddo, anzi vi dirò che mi ha addirittura annoiata, nonostante la brevità.
Il romanzo di cui sto parlando è Il Bambino che Imparò a Colorare al Buio, scritto da Nicholas Sparks insieme a Billy Mills.

Diamovi ora una veloce trama.
David è un bambino che ha già imparato cos'è la sofferenza. Appartiene alla tribù dei Lakota e vive in una riserva indiana. Tre anni prima dell'inizio del racconto perde la sua mamma ed il racconto inizia con lui molto triste per la sua seconda perdita: quella della sua amata sorella Emma. David, potete immaginare, è dunque molto triste e non sa che fare per farsela passare. Gli verrà allora in aiuto suo padre, dandogli un rotolo di pergamena con i sette disegni raffiguranti Wokahnigapi Oiglake, un percorso di consapevolezza delle tradizioni indiane. Sarà così che David inizierà il suo viaggio verso la serenità.
Il vecchio si chinò verso di lui e gli posò una mano sulla spalla. «E' sempre difficile comprendere la morte; tuttavia, mio giovane amico, tua sorella non ti ha abbandonato del tutto. E' con te, e lo sarà sempre. Può percepire la tua sofferenza e se ne rattrista, perché desidera solo vederti felice.»
Ed ora la mia modesta opinione su tutto ciò.

Se devo essere sincera devo ammettere che all'inizio mi aveva presa dentro, la storia sembrava interessante, sembrava più una fiaba che un racconto normale. Andando avanti però mi son resa conto che più leggevo e più mi sembrava di essere entrata in uno di quegli inutili libri sul come essere felici, un po' tipo "E' facile smettere di fumare se sai come farlo" (libro che ho letto e da fumatrice vorrei dire che è inutile, ero solo curiosa dato che tutti continuavano a dirmi: "oh mio Dio, ho letto quel libro e ho smesso per sempre!").
«Dimmi», chiese il vecchio, «che cos'è la felicità?» «E' uno stato d'animo che mi fa stare bene con me stesso. Non ho bisogno di uno degli inganni di Iktumi per essere felice, e neppure di un puntino luminoso e distante. Mi bastano semplicemente il desiderio di esserlo e la consapevolezza del percorso che dovrò compiere. Da questi due elementi mi verrà una luce interiore - un'aura di gioia - che mi condurrà verso la forza, la pace e l'amore. E se me ne convincerò e imparerò a essere felice, potrò esserlo per sempre perché sarò io ad avere il controllo.»
Tornando a noi ad un certo punto l'ho trovato di una banalità spaziale. Riassumendo, alla fine, parla di depressione e cerca di darti dei consigli per uscirne. Ora... Parliamone... Una persona che soffre di depressione sicuramente non guarirà perché avrà letto questo libro, anche perché la maggior parte delle frasi riportate è davvero la sagra della demenza. Una persona depressa leggendolo penso che non vorrebbe altro che prendere a schiaffoni Mills e Sparks per quanto la rendono semplice.
Chiunque può essere felice? Oh grazie, ora che me l'hai detto sicuramente riuscirò ad esserlo!
Insomma un libro che poteva essere una storia molto bella, peccato che poi l'abbiano riempita di stronzate buoniste. Ok, lo ammetto sono un po' dura, ma vi giuro, mi aspettavo tutt'altro.

Voto:

4 commenti :

  1. Cosi poca birra?
    E' un errore comune quello che hai notato in questo libro. Anche io ci sono cascato.

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    1. Eh sì, ma proprio non merita secondo me. Son rimasta proprio delusa!
      Cascato in che senso?

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    2. Partire bene con un idea innovativa e poi cascare in luoghi comuni e nella banalità più totale.

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    3. Già, peccato. Tempo perso proprio.

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